RECESSO AD NUTUM – Qual è la tutela per la parte che subisce il recesso ?

Cosa accade quando la propria controparte contrattuale decide di esercitare il recesso ad nutum previsto nel contratto vigente inter partes?

In primis giova ricordare che seppur nel contratto possa essere previsto un diritto di recedere dal contratto, questo deve essere sempre esercitato non arbitrariamente, cioè ad libitum, ma secondo i canoni di buona fede e correttezza.

Come è noto, da tempo la dottrina e la giurisprudenza si sono poste il problema del c.d. “abuso del diritto”: in proposito la Corte di Cassazione, dopo aver riconosciuto la vigenza di un generale divieto di abuso di ogni posizione soggettiva (Cass. SU 23726/2007) ha autorevolmente ribadito che “si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti” (Cass. 20106/2009).

In altri termini, la parte contrattuale che intende recedere dal contratto deve primariamente salvaguardare gli interessi di controparte con la conseguenza che la medesima potrà usufruire del recesso ad nutum solo laddove quest’ultimo sia l’unico possibile e non vi siano quindi alternative meno lesive per l’altra parte contrattuale.

Ciò in ordine agli obblighi di solidarietà imposti dalla clausola generale di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c., volta a salvaguardare la proporzione tra il beneficio della parte titolare del diritto di recesso ed il sacrificio a cui deve essere sottoposta la controparte contrattuale che subisce detto recesso.

All’uopo si rammenta che secondo la giurisprudenza di legittimità: “l’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (…) e la sua rilevanza si esplica nell’imporre, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge” (Corte di Cassazione n. 20106 del 18.9.2009).

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La parte contrattuale che ha subito un recesso abusivo, in quanto contrario ai canoni di buona fede e correttezza, è senz’altro legittimata a chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa del comportamento scorretto della controparte che attraverso il recesso ha turbato e compromesso non solo le aspettative economiche, ma altresì gli utili certamente conseguibili dall’esecuzione del contratto.

Per aversi risarcimento del danno occorre quindi che il mancato guadagno subito da una parte sia conseguenza diretta ed immediata del recesso esercitato illegittimamente dalla controparte.

Nel dettaglio, il danno patrimoniale consiste nella perdita di quel guadagno che la parte contrattuale che ha subito il recesso avrebbe certamente conseguito se la controparte avesse regolarmente eseguito il contratto e non avesse quindi deciso di recedere abusivamente dal medesimo.

Ai fini della determinazione del lucro cessante occorre quindi effettuare una ricostruzione ideale di quanto la parte lesa avrebbe conseguito per normale successione di eventi, in base ad una ragionevole e fondata attendibilità, qualora la obbligazione fosse stata adempiuta dalla controparte.

All’uopo si rammenta che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, “il danno patrimoniale da mancato guadagno, concretizzandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbligazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta (…) sicchè la sua liquidazione richiede un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità), che può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sillogisticamente desumere l’entità del danno subito” (Corte di Cassazione, sez. II, ord. n. 8.3.2018 n. 5613; in senso conforme Corte di Cassazione, sez. III, n. 15349 del 21.6.2017).

Avv. Laura Mingrino

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